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L'ORGANO INVISIBILE


A Lunéville, in Francia, l'organo della cattedrale possiede 3880 canne, 4 manuali ed una pedaliera, ma di tutto questo non se ne vede l'ombra!



(Libera traduzione per gentile concessione di Jean-Gildas Marquer)

Il grande organo della chiesa di Saint-Jacques de Lunéville è tra le opere più belle e importanti volute da Stanislas Leszczynski, re di Polonia e ultimo duca di Lorena.

Registrato dal 1995 sulle strade europee del barocco, è ora un elemento principale del patrimonio lorenese del XVIII secolo, sia per la qualità artistica del suo complesso architettonico, che con la sua particolare disposizione strumentale, poiché è l'unico organo a canne nascosto conosciuto in Europa.

Il progetto architettonico si deve a Emmanuel Héré, che è stato anche il progettista della cantoria e del buffet, le cui incisioni occupano un posto di rilievo nella sua famosa Collezione di piante, prospetti e sezioni dei castelli e dei giardini che il re di Polonia occupa in Lorena pubblicato nel 1752.

Lo strumento fu commissionato nel 1746, la costruzione iniziò nel 1747 e l'organo suonò per la prima volta il 21 febbraio 1751.

Il complesso, cantoria e buffet, fu il frutto di una straordinaria collaborazione tra l’architetto Héré, l'organaro Nicolas Dupont de Maxéville (che poi lavorò per le cattedrali di Nancy, Toul e Verdun) e il pittore André Joly al quale, secondo recenti studi, si attribuisce l'affresco a trompe-l'oeil sullo sfondo della scena.

Per realizzare questa rappresentazione, Héré si sarebbe stato ispirato, secondo una ricerca di Henri Macoin, ad una incisione di Padre Andrea Pozzo intitolata "Le nozze di Cana" che fu utilizzato nel 1685 per erigere nella chiesa del Gesù di Roma un teatro sacro durante la celebrazione dell'ufficio del "40 ore".

(N.d.r. il rito delle 40 ore consisteva, negli ultimi giorni della Settimana Santa, nell’esposizione del Santissimo Sacramento nelle 40 ore in cui, nel ‘500, si presupponeva Gesù sia rimasto sepolto prima delle Resurrezione. Tale ritualità venne adottato in maniera spettacolare dalla Chiesa per diversi anni tra il ‘500 ed il ‘600, ed influenzò le ritualità cattoliche di mezza Europa compreso il significativo esempio della cattedrale di Lunéville. Come curiosità storica, in appendice a questo articolo verrà aggiunto un testo che cercherà di spiegare cosa era e quanto importante fosse quella ritualità)

Padre Pozzo è stato un notevole teorico della "quadratura", pubblicò decorazioni trompe-l'oeil (tra cui quella delle nozze di Cana) in un trattato di prospettiva intitolato “Prospettiva de' pittori e architetti”, diffuso in tutta Europa e introdotto in Lorena da Francesco Galli di Bibiena, l’architetto a cui venne commissionato, tra il 1707 1708, la costruzione del teatro dell'opera di Nancy.

Il suo collaboratore Giacomo Barilli eresse nel 1723, nella chiesa des Cordeliers di Nancy, un teatro sacro chiamato "il paradiso del giovedì santo".

Questi teatri sacri consistevano nell'appendere nel coro un serie di tele dipinte aperte al loro centro a mo’ di quinte che servivano, tra l’altro, per nascondere l’orchestra, i cori e i solisti che si esibivano in vere e proprie opere sacre.

Anche la scena di Lunéville è stata costruita secondo i principi della quadratura con un punto di fuga centrale.

Disegnando le linee dal punto di vista dell'incisione di Héré, notiamo che il punto di fuga in cui convergono tutte linee prospettiche si trova nel mezzo del tamburo all'ingresso della chiesa, sotto la tribuna, di fronte all'altare maggiore e di fronte al tabernacolo.

I fedeli, dopo aver assistito alla Messa, diventavano in un certo senso attori di questo teatro sacro, trasformando l’uscita dalla chiesa in una specie di processione di anime che entravano in Paradiso.

Per realizzare questa scenografia degna di un'opera sacra, Emmanuel Héré progettò una vera e propria opera architettonica e non solo un mobile in legno destinato a racchiudere la meccanica e le canne di un organo.

Egli inserisce il tutto, cantoria e buffet, nella struttura stessa della chiesa, dal pavimento alla volta in tre grandi campate verticali formate alla base dalle quattro colonne ioniche che sostengono la cantoria e la parte superiore dalle quattro massicce colonne corinzie.

I pilastri del buffet formano portici con balaustre poste di fronte al palco.

Sulla parete posteriore della tribuna, Héré, conservando le lezioni della quadratura, gioca con l'illusione barocca della tecnica del trompe-l'oeil: una decorazione completamente affrescata riproduce i portici della facciata della chiesa, rivelando arcate laterali che danno la sensazione, a destra, a sinistra e al centro, di un edificio semicircolare aperto all’infinito, con sopra tre campate a volta che danno l'impressione di estendere la chiesa.

La volta è decorata con intrecci e alla sua sommità, in un anello centrale, appare dietro una balaustra dipinta in controangolo ad angolo basso, una cupola a cassettoni e una lanterna, tutti trattati in anamorfosi, ossia disegnati in falsa prospettiva in maniera da illudere, chi vede dal basso, che il dipinto sia realmente tridimensionale.

Ma, a questa tecnica d’influenza italiana del XVII secolo, Héré aggiunge anche motivi rocaille ed esuberanti, più vicini al gusto del suo tempo, e altri elementi ispirati da tecniche dell’Europa centrale.

Ad esempio, collocati sulla trabeazione dei portici, una grande struttura di marmo unisce la facciata tridimensionale e la facciata trompe-l'oeil e chiude lo spazio centrale per venire a smorzare sull'anello situato nella parte superiore di il caveau.

La balaustra della cantoria sostiene quattro angeli che suonano ciascuno uno strumento musicale (flauto, liuto, violino, fagotto) sotto la direzione di un angelo in piedi sul balcone superiore.

Disegnato con una serie di curve e contro-curve, la scena si ispira direttamente a gusti bavaresi, mentre il balcone potrebbe evocare stilemi austriaci.

Al centro, un cartiglio, sormontato dalla corona ducale, porta lo stemma di Stanislao (le aquile di Polonia, i cavalieri di Lituania, e il bufalo della casata Leszczynski), una bandiera bianca adornata con fleurs-de-lys (poiché l'ultimo duca di Lorena, suocero di Luigi XV, dovette preparare l'annessione dei suoi Stati alla Francia), un tamburello e un tavolozza di pittura per ricorda che Stanislas era un grande protettore delle arti.

Questo arredamento sontuoso costituisce quindi una sintesi magistrale del barocco Italiano, dal barocco dell'Europa centrale, armonizzato dalla cultura Francese.

Testimonianza delle grandi opere volute da Stanislao in Lunéville, la Trèfle, il Pavillon de la Cascade, e il castello di Chanteheux.

L'altra particolarità di questo eccezionale organo è l'assenza di canne visibili: lo strumento è nascosto dietro la base, le balaustre, i portici in rovere intagliato e le lesene di colonne traforate formate da una rete di doghe verticali che lasciano passare il suono.

Ha innegabili somiglianze con il progetto di Saint-Sulpice de Paris proposto dall'architetto Laurent poco prima del 1748, ma che alla fine non è stato realizzato, anche se hanno ispirato quelli del costruttore di organi Riepp per l'abbazia benedettina di Ottobeuren nel 1755,

poi per l'abbazia cistercense di Salem nel 1768.

L'organo di Saint-Jacques è quindi l'unico a tubi nascosti conosciuti finora in Europa. Ma, nel XVIII secolo, questa idea Molto innovativo gli era valso forti critiche da parte dei sostenitori di un un certo classicismo. Tale audacia barocca che avrebbe potuto essere ammesso al Ducato di Lorena, grazie alla personalità dell'Emmanuele Herey e Stanislaus, causano una vera meraviglia: quando Lo strumento risuona, si ha l'impressione che siano i portici che Cantare.

Questo organo unisce così vista e udito e raggiunge la sintesi che la cultura barocca cercava. Lungi dall'essere una stanza isolata, è un elemento integrante della decorazione rocaille della chiesa, in Una magistrale alleanza del«Architettura e musica.

La classificazione dell'insieme come monumento storico il 28 Febbraio 1986, come parte di un restauro generale della chiesa, è stato il punto di partenza di una vasta campagna di restauro che ha permesso nel maggio 2003 per trovare, oltre ad un sontuoso buffet, un favoloso strumento di riabilitazione dell'opera di Dupont, senza rinunciare ai contributi di Jeanpierre, grazie al superbo lavoro svolto dal compagni di B. Cattiaux e L. Plet.

Questo organo, orgoglio della città diLunévillois, è oggi un elemento essenziale del loro patrimonio e una risorsa di primo piano nello sviluppo culturale e turisti della città.

Disposizione fonica

 


Appendice:

Andrea Pozzo e le Quarant’ore di Gesù

Libera traduzione dal testo di Andrew Horn

Le installazioni effimere di Andrea Pozzo per le devozioni delle Quarant’ore al Gesù, almeno due delle quali sono presenti nel suo monumentale trattato Perspectiva Pictorum et Architectorum, segnalo fase la tarda di una ricca tradizione artistica legata al rito romano iniziata alla fine del Cinquecento secolo.

Rappresentano anche il culmine di una pratica scenografica che risale ai primi anni di Andrea Pozzo come artista nel Nord Italia.

Le elaborate scenografie da lui ideate e prodotte per le feste religiose nelle chiese dei Gesuiti a Milano e Genova sono annoverate tra le sue prime sue commissioni pubbliche, e sono registrate in dettaglio in resoconti scritti.

Le scenografie di Pozzo sono tra i primi casi di studio del concetto di arte e architettura come teatro.

Ciascuna di queste opere funge da ambientazione per il rituale, nonché un mezzo di persuasione attraverso l'impegno intellettuale e spirituale dell'osservatore durante questa particolare performance che i gesuiti contribuirono a promuovere e a divulgare in tutto il mondo cattolico.

Il Quarant’ore, o Devozione delle Quarant’Ore, consiste nel rito per cui il Santissimo Sacramento è esposto per quaranta ore continue. Nasce da una tradizione secolare di esposizione del Sacramento con scopo devozionale.

Come rito ha una stretta corrispondenza con la tradizione quaresimale medievale della veglia del Venerdì Santo che segnava le quaranta ore in cui si credeva che Cristo fosse rimasto nel sepolcro
prima della risurrezione.

A partire dal 1537 la devozione si diffuse a Milano nella forma istituita dall'Arciconfraternita di San Sepolcro e approvata da Papa Paolo III nel 1539.

Fu poi adottata ufficialmente nella diocesi dall'arcivescovo Carlo Borromeo, e rimase
una tradizione importante nella cultura religiosa milanese fino al XIX secolo.

Il rito fu introdotto a Roma da Filippo Neri nel 1550, dove il rito prevedeva l’inizio la prima domenica di ciascuno mese.

Come a Milano, dove era stato istituito una ventina d'anni prima e promosso da Carlo
Borromeo, le Quarant’ore a Roma rappresentavano un appello alla misericordia divina in momenti di grande difficoltà per la Chiesa.

Verso la fine del XVI secolo, divenne un grande spettacolo visivo, in cui venivano utilizzate numerose candele, luci, arazzi e altre decorazioni.

Il 25 novembre 1592 Clemente VIII pubblicò un'enciclica ordinando che il rito delle Quarant’ore, già solennità annuale tenuta all’inizio nella Cappella Paolina dell'Avvento, doveva essere osservata nelle maggiori chiese di Roma.

Nella Milano della fine del Cinquecento secolo si aggiunge l’urgente appello del Borromeo per l’istituzione e la promozione delle Quarant’ore durante i tempi disperati della peste che stava devastando la sua diocesi.

Da Roma l'appello per l’uso del rito veniva promosso con forte raccomandazione dal centro di una Chiesa Cattolica che vedeva la cristianità sull'orlo della distruzione: ad esempio fu visto come mezzo per la salvezza del popolo francese durante la campagna dei cattolici contro gli Ugonotti; la lotta contro l'eresia imperversava in tutta Italia e in Europa; e la Chiesa, insieme all’Europa cristiana, doveva affrontare tra l’altro la continua minaccia dell’invasione turca.

La tradizione delle Quarant’ore fu adottata con particolare entusiasmo dai Gesuiti, che avevano, fin dai tempi di Ignazio di Loyola, promosso l’uso del rito.

Il fervore con cui Ignazio considerava il sacramento è evidenziato nelle sue prime visioni spirituali, inoltre, come ha osservato John O’Malley, le Quarant’ore fornirono ai primi gesuiti una importante occasione di predicazione.

A partire dalla metà del XVI secolo, i Gesuiti in Italia avevano preso l’abitudine di aprire le Quarant’ore negli ultimi tre giorni di Carnevale, per dissuadere e allontanare le persone dai piaceri carnali che questa festa pagana ispirava e attirarle alla luce della salvezza in preparazione per la Quaresima. La tradizione assunse un grande significato liturgico per i gesuiti e divenne un potente mezzo di persuasione attraverso l'uso delle immagini nella loro forma più efficace e pubblica di teatro religioso.

Le Quarant’ore rappresentano un caso di studio essenziale nell’arte e nella cultura religiosa del seicento, e dell’importanza dell'Eucaristia nella fede e nel culto cattolico nella Chiesa post-tridentina.

La natura del sacramento dell'Eucaristia nella fede cattolica era stata dichiarata con rinnovata chiarezza, e la sua importanza come sacramento sottolineata dal Concilio di Trento: l'Ostia significava la presenza fisica del divino, trasformato nell'attuale corpo di Cristo mediante il miracolo della transustanziazione durante il rito eucaristico della messa.

Questo fatto sembrava non solo giustificare, ma esigere la massima solennità alla devozione dell’Ostia sacra.

Seguì così il grande fiorire di elaborati altari e tabernacoli monumentali, nonché decorazioni effimere di altari per occasioni religiose e devozioni eucaristiche come la Quarant’ore. L’altare divenne il “teatro” in cui si svolgeva il mistero del sacrificio di Cristo e della salvezza dell’umanità.

Le Quarant’ore divenne uno delle devozioni religiose più spettacolari del secolo, e l'esibizione dell'ostia santificata divenne un’occasione per i fedeli di contemplare la presenza divina nel sacramento e di riflettervi i misteri che rappresentava.

Nella seconda metà del secolo a Roma le Quarant’ore giunsero all'apice del loro splendore visivo, come gli artisti e gli architetti più illustri erano chiamati a realizzare gli elaborati apparati per la devozione.

Oggi manca la cognizione di come apparissero le scenografie delle Quarant’ore in relazione alla loro ambientazione e alle altre decorazioni della chiesa. Per quanto riguarda il rituale, tendiamo a immaginare le Quarant’ore come forma di teatro silenzioso, immobile, in cui i fedeli, come il pubblico, subiscono passivamente e si fermano ad osservare un quadro religioso, un dramma spirituale congelato nell'immagine dell'altare e delle sue decorazioni.

Il Quarant’ore era un rito che coinvolgeva il movimento, il suono, l’olfatto e l’intera gamma dei sensi oltre alla vista.

Forse più importante del rito comunitario, però, era il “teatro interiore” delle Quarant’ore: il rito di preghiera in cui i fedeli si impegnavano durante le quaranta ore delle esposizione.

Le regole che Carlo Borromeo emanò per la devozione delle Quarant’ore a Milano nel 1577 divenne il modello da seguire per i papi a Roma, a cominciare da Clemente VIII.

Nelle istruzioni del Borromeo l’altare è vestito di “religiosa pulizia”: l’ostia nel suo ostensorio è coperto da un velo di seta e illuminato da sei a dieci candele e da dodici a tredici lampade.

È raccomandato che la cappella venga oscurata, in modo che le luci forniscano l'unica illuminazione, affinché si rafforzi il mistero ispirati ai fedeli una maggiore devozione.

Non devono essere utilizzati tendaggi o arazzi con storie o immagini “profane” e deve essere decorata solo il presbiterio .

L'ostia viene rimossa da un tabernacolo di chiusura per la processione e per l'esposizione di quaranta ore; poi viene restituita e chiuso nel tabernacolo.
Il rito divenne così importante nel XVII secolo che Urbano VIII, Alessandro VII e Innocenzo XI pubblicarono ciascuno la propria versione delle istruzioni.

Queste istruzioni erano una descrizione dettagliata di come doveva essere preparata la chiesa, il luogo di collocazione del Sacramento, l'allestimento dell'altare e il numero delle luci; i paramenti da indossare, la manutenzione delle luci e mantenimento degli orari; il galateo da osservare da parte dei fedeli, la separazione dei gli uomini dalle donne.

Sotto questi e successivi pontificati la macchina delle Quarant'ore divenne gradualmente più elaborato man mano che l’originaria insistenza di Borromeo sulla “pulizia religiosa” diveniva più persuasiva.

L’originale ritualità cedette il passo a quello che potremmo definire lo splendore barocco.

Ordini religiosi, associazioni religiose laiche e il clero nobile dedicò risorse sempre maggiori alla realizzazione di sontuosi spettacoli per attirare al massimo l’attenzione e la devozione al Santissimo Sacramento.

Come a Milano, anche a Roma il culto delle Quarant’ore era celebrato da una serie di chiese in successione ciascuna iniziando la sua devozione un'ora prima che la chiesa precedente completasse il rito.

La devozione iniziava e si concludeva con una messa cantata, seguita da una processione, che partiva dalla chiesa e proseguiva all'aperto.

La processione stessa è descritta nelle istruzioni in modo molto dettagliato e con termini rigorosi, dall'ordine e il grado dei partecipanti e dei loro paramenti alla gestione del Sacramento (sotto un baldacchino); alle benedizioni, preghiere e litanie; all'inginocchiarsi e all'incensare (fatto sempre tre volte).

A complemento di questa "prestazione esterna" c'era una componente interna, legato alla creazione e fruizione mentale delle immagini.

Durante i lunghi periodi di riflessione, questo teatro interiore utilizzava le immagini per attivare ricordi e narrazioni scritturali legate al mistero del sacrificio di Cristo e dell’Eucaristia, e incoraggiava meditazioni guidate, in quanto l'individuo era chiamato a partecipare attivamente alla narrazione drammatica di salvezza. La partecipazione fisica alle azioni rituali, in particolare a quelle della messa, forniva l’opportunità di eseguire esteriormente questa narrazione nella comunità.

Il “teatro interno” del Quarant’ore funzionava quindi contemporaneamente al “teatro esterno” della rappresentazione fisica del rituale, i due si completano e si impegnano l'uno con l'altro.

Un’altra influenza regionale nell’architettura di Pozzo in questa scenografia è quella di Venezia e del Veneto, di cui avrebbe studiato i modelli architettonici nei suoi viaggi,

Tutta le facciate delle “Le Nozze di Cana” possono essere paragonate alle scenografie del Teatro Olimpico di Vicenza di Palladio, che presenta allo stesso modo un grande arco trionfale circondato da una struttura punteggiata da ulteriori aperture e nicchie, decorate con figure gesticolanti.

La scena di Pozzo non è semplicemente un’esibizione virtuosistica di architettura o tecnica prospettica; si presenta a all'osservatore l'invito ad entrare ed esplorare la scena, a partecipare ad un dramma spirituale che completa il rito delle Quarant’ore, ed infine ascendere alla meta agognata della salvezza.

Nel contesto del rito e della preghiera, la comunità dei fedeli che ammiravano una scena del genere erano coinvolti dalla narrazione rappresentata e dal suo significato, proprio come lo erano quando contemplavano l'immagine sacra in un dipinto religioso.

L'immagine illusionistica presentata in simili apparati aveva uno scopo meditativo e cerimoniale: era una scena sacra in cui l'immaginazione “entrava” e prendeva parte al dramma rappresentato, come negli Esercizi Spirituali. Il rituale faceva parte di un più ampio appello ai sensi nonché all'intelletto per riflettere sulla presenza e sul significato del Santissimo Sacramento stesso.

Nella suo effimero l'apparato era come le immagini dell'immaginario, discusse da Agostino e Tommaso d'Aquino e promosso da Ignazio e Borromeo, chiamati ad aiutare i fedeli nella preghiera e nel raggiungere la comprensione spirituale.



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